giovedì 8 ottobre 2009

La roux

E ora una recensione che avevo scritto per un sito per il quale collaboravo (e per il quale ho smesso di collaborare proprio per questa recensione: non gli piaceva...)

L’omonimo debutto dei La Roux segue tutti i trend del synth-pop anni ’80 giù giù fino all’improbabile. C’è persino il tipico intermezzo ieratico (ma diciamo pure chiesastico: qualcuno ricorda It’s alright dei Pet Shop Boys? Nei concerti procedevano anche a vestire da suore le coriste per dare meglio l’idea) a fare da “momento riflessivo” per la hit del momento (In for the kill). Ma questo solo per dirne uno.
Qui però c’è una differenza fondamentale rispetto agli anni ’80 veri, e va detta: se alcune di quelle band synth-pop d’antan avevano come ingrediente non secondario del loro mix un certo humour, quest’ultimo sembra invece assente nel secondo giro di giostra che vede protagonisti (di molte classifiche) i La Roux.
E allora chiariamo una cosa: chiunque voglia mettersi a giocare con un revival (spudorato in particolare, come è il caso dei La Roux), ed è così consapevole delle origini dei suoi suoni (riproducendoli tutti, uno dopo l’altro), dovrebbe perlomeno sforzarsi di far pervenire un minimo sindacale di (auto)ironia. Non si chiede a tutti di essere dei Quentin Tarantino e fare della conoscenza e del citazionismo del proprio essere artisti una nuova formula artistica (il cosiddetto postmoderno), che sarebbe oggettivamente chiedere troppo ai La Roux, ma non si può nemmeno far finta di essere usciti dal nulla.
Quello che provoca una certa ilarità, se non una certa diffidenza, però, è leggere certa stampa che viaggia su un binario revisionista e tratta i La Roux coi guanti giocando su un assunto semplice: dietro queste melodie sempliciotte e le acconciature burlone, i La Roux sono degli autori né più né meno degli Eurythmics. Nel tipico schema revisionista per cui: forma d’arte fatta con lo stampino = conoscenza manifesta del genere = profondità e serietà del progetto. Quando, invece, sarebbe molto più semplice dedurne: musica già sentita pari-pari = le idee stanno a zero = progetto fatto più o meno a tavolino apposta per far abboccare sulla scia della moda (revisionista) del momento.
Insomma, il classico caso in cui c’è chi pensa “Se si ascolta bene, sotto questa apparente faciloneria c’è dell’altro”, quando in realtà, se si ascolta meglio (e più a lungo) ci si accorgerà che se si legge qualcosa di più della passione per le melodie banali e gli arrangiamenti da dio-speravamo-di-non-sentirli-più-questi nei La Roux, è solo perché si vuole trovarci sotto qualcosa ad ogni costo.
E giusto per non farsi mancare niente: prescindendo dai quattro singoli (che già sono roba pronta per le compilation nostalgiche del 2030 in vendita a notte fonda in televisione), la voglia di canticchiare pensando a quant’era bello quando c’erano i walkman e il Drive-in tivù scema sensibilmente, pieno com’è quest’album di riempitivi.


1 commento:

Alessio ha detto...

Fantastico!
Fa veramente piacere leggere una recensione concreta e che mi ha fatto pensare.
Devo dire infatti che i La Roux mi son subito piaciuti, forse proprio per questo sound che evidentemente richiama alla mente qualcos'altro.
Eppoi, eh sì Elly Jackson mi piace proprio parecchio, che sexy...
Ok ok qui si discute di musica.
Bello anche il richiamo a Anny Lennox, Euritmix.
Alessio Mattia Bertoli