lunedì 10 novembre 2008

Recensione

Cerco di non farmi troppa autopromozione di norma, ma ciononostante allego qui il link per una recensione che ho scritto, e non tanto per la recensione in sé, quanto perché il portale di cinema per cui l'ho scritta mi pare meriti, e parecchio. Quindi approfittatene per leggere anche altro:

Recensione

domenica 19 ottobre 2008

Dì qualcosa di culturale, Baricco

Sto guardando (e commento al volo) Baricco a "Che tempo che fa". Parla di Beethoven perché ha fatto un film su Beethoven. Ci sarebbero molte cose da dire su Baricco, in particolare sul Baricco "esperto di musica" (che dire musicologo mi pare troppo), magari partendo dal fatto che in passato si diceva convinto della "naturalezza della tonalità", come a dire che le tonalità (e quindi le scale, la scale occidentale magari) sono insite nella natura, che questa tende di per sé alla tonalità... Roba da far venire i brividi a chiunque abbia una minima infarinatura di musica classica e alfabetizzazione musicale... Ma lasciamo pure stare.
Il problema è che Baricco parla, e una volta stuzzicato sulla nona (la premessa è che la nona di Beethoven sia sovrapravvalutata), sull'uso che ne si fa come sigla di tutto (tanto che avrebbe ormai un alone di buonismo che tutto comprende), lui che cosa fa? Sorride, e dice che sì, che poi non c'è tutta questa bontà in Beethoven, che insomma la nona sia il simbolo della "umanità buona"...o qualcosa del genere...è una robetta, via!, anche perché, cavolo (ma pensate un po'!) Beethoven non era affatto buono (e fa capire che a conti fatti era pure un po' stronzo).

In pratica: Beethoven non era buono = la Nona di Beethoven non ha motivo di essere considerata l'inno (ovvio si parli in realtà dell'inno alla gioia) dell'umanità buona.

Qualcuno nota forse che manca qualche passaggio in questo ragionamento?

E allora, prima che l'arrabbiatura mi annebbi completamente:

Non gliene frega niente a nessuno (caro Baricco) che Beethoven fosse buono o no, o perlomeno non gliene dovrebbe fregare, visto che non si vede cosa c'entri con l'esegesi/comprensione della nona.
Inoltre: se ti si dice, Baricco, che la nona o l'inno alla gioia sono diventati l' "'inno all'umanità buona", visto che hai studiato, visto che si presume tu ne sappia di musica (sei diplomato in pianoforte, e presumibilmente ne saprai in particolare di Beethoven dacché ci hai fatto un film), e visto che forse se si parla di fronte ad un pubblico di qualche milione di persone una qualche responsabilità la si dovrebbe avere /mostrare (poco dopo hai parlato di onestà intellettuale, tra l'altro) non sarebbe giusto, come dire, fermarsi un attimo, tirare un profondo respiro, e dare un contesto? Partendo magari dal dire che la nona non nasce nel vuoto storico, ma tutt'altro, in quanto a pochi anni dalla rivoluzione francese, mentre nell'aria (anzi meglio: nell'Europa tutta o quasi) si parla di concetti come egualitarismo, di pari diritti, e si agisce di conseguenza qua e là: nasce la moderna democrazia, ci sono elezioni, si inizia a pensare che le donne non siano soprammobili, che non ci siano cittadini di seconda o di terza classe...
E la nona parla di questo, per quanto una musica possa parlare di qualcosa, Baricco.
La Nona è grandiosa ed ottimista perché vede davanti a sè (e spera in) una umanità egualitaria, più libera.

Quindi a domanda "la nona non è un po' una sigla dell'umanità buona?", Baricco, si risponde, semplicemente: no.
E poi si approfondisce.

Che non è una roba di cui vergognarsi -approfondire. Che non si va in tv solo per apparir belli e prendere applausi, se si vuol essere intellettuali.

E magari rimandare alla musica.
Io in particolare rimanderei a due uomini: ancora Beethoven e poi Furtwängler.
Furtwängler è stato uno dei più grandi direttori d'orchestra della storia (spesso noto per avere diretto la filarmonica di Berlino durante il regime nazista, e su questo c'è anche un discreto film con Harvey Keitel), un direttore su cui mi vergognerei a dire più di così, che le mie competenze hanno un limite, ma almeno consiglierei di andare a comprarsi le 9 sinfonie di Beethoven dirette da Furtwängler ed edite qualche anno fa in un piccolo box rosso della EMI (a un prezzo incredibilmente convincente, neanche 30 euro se non sbaglio) dove la resa della nona fa dimenticare tutto: Baricco, Bush, i Sonohra, il carovita, l'opposizione del partito democratico...
Se qualcuno vuole andare a cercare tra gli scaffali dei negozi la cover è questa:


giovedì 9 ottobre 2008

Breakdance all'Arena (o almeno vicino)

Mi è capitato l'altro ieri di passeggiare in direzione (era di fatti la mia meta) della "biblioteca dei ragazzi" (si chiama proprio così) a Verona, dietro l'Arena (che poi è tutto da stabilire perché un libro come "Gli effetti secondari dei sogni" di De Vigan sia "per ragazzi"...ma vabbè, e chiudo subito la polemica tutta tra me ed il sistema bibliotecario veronese), quando a destra chi ti vedo? Uno sparuto (erano 3, il che lo rende ben sparuto) gruppetto di ragazzini intenti a fare breakdance. Che poi quando dico "intenti a fare breakdance" intendo che c'è uno che fa un mezzo giro sulla schiena e ha già dato tutto mentre gli altri lo guardano...ma c'è pure da dire che questi avranno avuto sì e no 12 anni, quindi non dico chapeau (che magari è troppo), ma insomma ci può stare. Ci possono stare.
Ma il senso di me che mi metto a scrivere un intero post (un intero post! sentitemi! sai lo sforzo!) non sta nella simpatia che posso più o meno provare per questi b-boys in erba (e comunque, si sappia, io questa simpatia la provo, eh) quanto nel mio stupirmi un po' all'idea che questi, che neanche erano nati negli anni '80 (!!!) passino i loro pomeriggi a provare una mossa di break invece che, chessò:
-battere un record alla PS3
-scaricare roba a caso da internet
-scrivere blog persino più inutili del mio (ne ho incrociato uno la settimana scorsa -sempre che si possa incrociare un blog- con post del tipo: "Ieri mi sono alzato, fatto la solita colazione, e poi a scuola è andato tutto bene. Nel pomeriggio ho ascoltato un po' di musica, e poi sono andato a dormire." Aaaargh!)
-una roba qualunque che alla fine ti porterà inevitabilmente a voler andare al liceo classico e a vestirti come tutti gli altri

Ma quello che mi ha stupito ancora di più della cosa in sè (il fare break) è la musica che utilizzavano per farla, cioè una musica assolutamente e filologicamente corretta. Diciamo funky anni '70? Diciamolo.
Per capirsi, questa musica qua (non è che l'ho sentita e riconosciuta e poi scaricata dal web...L'ho proprio registrata in loco solo per questo blog, quindi pensate un po' al livello bello alto di stupore-slash-stima che avevo per questa meravigliosa mini crew under age...):


MusicPlaylistRingtones
Music Playlist at MixPod.com


Reso l'idea?
Questi tre se ne stavano belli belli a fare breakdance all'Arena (ok, vicino all'Arena) e si erano portati appresso uno stereo portatile con questa musica qui, che non si può mica fare breakdance con timbaland o justin timberlake, no? Praticamente siamo quasi al livello di Radio Raheem che se ne va in giro per Bed Stuy in "Fa la cosa giusta" solo ascoltando Fight the power dei Public Enemy.

E ovvio che a me veniva da pensare anche ai vecchi Run DMC (oltre ai PE), a Eric B & Ralkim o ai Clash che arrivano negli states attorno all'81 e vedono nelle strade ragazzini che fanno scontri (battles) di rap agli incroci (mentre solo cinque, dieci anni prima si sarebbero magari raccolti cantando soul attorno ai bidoni della spazzatura in latta a cui qualcuno aveva dato fuoco per scaldarsi come si vede nel primo Rocky, quando Stallone passeggia per il vecchio quartiere...).
Chissà se questi sanno chi è Chuck D, cos'era la CNN dei neri...

Ad ogni modo: respect.

sabato 27 settembre 2008

Bob Dylan: Bootleg Series Vol 8

Ad inizio Ottobre (c'è chi dice 3 ottobre, chi dice 7, io voto 3 perché dacché mondo è mondo le uscite discografiche sono previste per un lunedì ma poi si trovano il venerdì precendente...) sarà disponibile nei negozi la "Bootleg Series Vol. 8: Tell Tale Signs", che coprirà gli anni dal 1989 al 2006 di Bob Dylan (con outtakes, demo, versioni alternative, live), di cui molto ci sarebbe da dire, partendo magari da quella che sembra la decisione della Sony (che fa venir voglia di alzare i pugni al cielo e dire: "Morite, major, morite!", per poi sfogare la propria frustrazione su un fedele peer-to-peer) di mettere in commercio una versione con un prezzo più o meno abbordabile (25-30 euro) di due "soli" CD, e una di 3 con super-libretto, foto, ma soprattutto...con quel terzo CD che conterrà altri pezzi live, altri versione alternative, e un inedito assoluto (Duncan & Brady) al modico prezzo (negli USA almeno)...di 130 dollari.
E qui ci sta una pausa per apprezzare appieno la lungimiranza e la politica sempre attenta delle major, in particolare quando si tratta di raschiare il barile coi fans più accaniti,, più fedeli, che conosco bene le varie legacy edition, deluxe, e i box set...che non hanno mai una versione definitiva ma che vengono sempre updated diciamo da qulche altro CD (o DVD audio, o blue ray...vedi gli annunciati archives di Neil Young in arrivo), i quali hanno sempre guardacaso almeno un paio di pezzi in più o, se non quelli, una masterizzazione nuova di zecca (pesa ancora, certo, il trasbordo in digitale di qualità abbastanza opinabile di molti LP fatto negli anni '80, e che ha giustificato ovviamente le riedizione del catalogo più classico degli Stones)...
Va notato che fra quelli che attenderanno sempre con gioia un nuovo capitolo della bootleg series (e certo, pure Neil Young...come ancora sbavo al ricordo delle "Tracks" di Bruce Springsteen) ci sono anch'io, eppure, come si soleva dire un quindici anni fa, la domanda sorge spontanea:
Qual è il costo di queste operazioni? Quanto costa produrre una deluxe edition o legacy o quel che è (presumendo che outakes e demo siano già di proprietà della major di turno e quindi nei suoi archivi, e che la ricerca -se di ricerca si può parlare- rimanga solo per il materiale dal vivo: da trovare e da visionare, ok)?
Mi spiego meglio: se un CD degli U2 o dei Coldplay a produrlo una casa discografica si trova a far fronta ad un costo di qualche centinaia di migliaia di euro (in passato album degli U2 o dei Pink Floyd sono costati milioni di dollari, ma presumo qui, per bontà mia, che con la rivoluzione digitale i costi si siano abbassati), quanto costa una ri-edizione (per quanto accessoriata essa sia)?
Più di un album tout court?
E com'è che allora il nuovo coldplay lo pago 20 e un vecchio dylan 30?
Naturalmente qualcuno potrebbe dire: ma i coldplay venderanno molto di più, quindi: più copie, meno spese, mentre la produzione (soprattutto dell'ed. deluxe con 3 dische di dylan) sarà ad un tiraggio ben più limitato di copie.
Ok, ma 130 dollari???
La cosa che mi pare poi più scandalosa in questo caso non è la cifrà così alta per un edizione "di lusso", quanto il fatto che quest'edizione di lusso (a differenza delle riedizione del dvd dei Beatles, per dirne una), non contenga soltanto materiale "for fans only" in più (vedi: foto, note, etc), ma un intero CD di musica.
Vuoi fare distinzioni tra fasce di mercato? Vuoi che la gente vada a sbattere sotto il naso ai propri amici la propria versione "full optional" della propriaVW Golf, o della collezione dei Byrds? Ok, ma a parte il fatto che Volkswagen e Byrds non dovrebbero stare nella stessa categoria di beni (seppure, certo, il vecchio furgoncino VW...), ché di musica (qualcuno la chiama arte...) stiamo parlando. Ok anche questo, diciamo.
Ma se mettete in commercio una bootleg series che per definizione si basa su inediti, rarità etc...come dire...un CD di rarità ed inediti in più non può essere un optional!

La smetto, mollo tutto (altrimenti, lo so, potrei aprire un nuovo capitolo dal titolo "Ma allora qual è il costo di un best of?") sennò non ne esco più.
Vi lascio ad una delle chicche della bootleg series in uscita, una versione acustica della splendida Missisipi (l'album era "Love and theft").
(In realtà volevo parlare di questa canzone, ma poi ho avuto questo sbocco di bile...quindi ecco un'altra cosa di cui incolpare le major).


MusicPlaylist


lunedì 8 settembre 2008

La Notte Bianca di Villafranca


Più o meno 24 ore fa:

Tornando a casa la tangenziale mi guarda, e io guardo i cartelli -limite di 90 km- e penso: "Che cosa vuoi dire, cartello?"
E allora penso che 3 ore (o forse anche 4) così sono troppe, che la mente umana non è stata fatta per questo, che c'è un motivo se gli ascoltatori di Mozart non sono noti per finire accartocciati attorno agli alberi (e non basta dire che nei teatri non servono alcolici).
O almeno questo è quello che penso, a 85/90 km all'ora, sulla tangenziale che
mi sta traghettando a casa dopo essere stato alla NOTTE BIANCA DI VILLAFRANCA.
La NOTTE BIANCA DI VILLAFRANCA dove: i miei amici non sembrano più miei amici ma comparse di un film di Jerry Calà quarantenne. Dove: quando finiscono le pizze iniziano le crepes, e poi iniziano le birre, e poi iniziano i giocattoli per bambini, e poi iniziano gli stand come quello con l'uomo truzzo cosparso di unto che balla come in uno spot D&G al rallentatore senza smettere mai (nella mia testa).
Ma soprattutto dove non c'è mai silenzio e dove la musica stocka e comprime assieme tutti i presenti come fanno le presse con il truciolare: è così che la dance del "popolo della notte" incontra un Elvis stracciato da basi musicali buone per Raul Casadei, che incontra l'afro che mi scava nello stomaco con i suoi finti tamburi digitali, che incontra dio-solo-sa quale musica-spazzatura aborracciate e aborrante possiate immaginare -che tanto potete stare sicuri: c'era.
Per questo, alcuni minuti fa, dopo aver acceso l'auto, quando Giorgia mi ha chiesto: "Metto su London Calling?" -e io quasi di default stavo per dire sì- ho esitato; e lì ho inteso. Ho inteso che non ce l'avrei fatta; realizzando così che per la prima volta in vita mia (e dico dai tempi in cui giravo con una 126 scassata e il walkman come autoradio) non avrei ascoltato alcuna musica guidando , nemmeno i Clash -perché non avrebbe voluto dire niente. 
Disumanizzato, imbruttito, desemantizzato, sarei soltanto convogliato fino a casa, ed avrei sperato -ed aspettato- che tutto tornasse alla normalità.
Ed ora, una mezz'ora dopo, il caldo ancora che mi opprime la fronte e la nuca, lo stomaco che non capisce se sta male o ha fame, so che solo un buon sonno può salvarmi.
Ridarmi la mia musica, i miei ricordi, i miei ancoraggi semantici alle cose, alle persone, ai tempi che ho sempre amato e hanno sempre avuto un significato per me.
A meno che.
A meno che non mi salvi François, magari.
Ma lo farai, François?  -penso.
Appoggerò magari la testa sul cuscino e tu mi dirai: "Annoiarsi? Come si fa ad annoiarsi nella vita? Se non sai cosa fare c'è sempre un libro da leggere, un disco da ascoltare...O impara una lingua!"
Mi mostrerai magari quel tizio, quello con l'appartamento al primo piano che dà sul cortiletto e che ha deciso che non uscirà di casa fino a quando il collaborazionista Petain non tirerà le cuoia?
O  forse mi regalerai un'inquadratura su un paio di gambe di donne fasciate con deliziose longuette anni '70 che passeggiano per andare al rendezvous con il loro amante, ora marito?
François, se fossi ancora vivo ti vorrei solo dire che però avrei tanto voluto che avessi fatto come Kubrick e controllato tutte le traduzioni dei tuoi film, che dire "Non drammatizziamo... è solo una questione di corna" non è come dire "Domicile conjugal". Ché il primo è di gran lunga titolo troppo dozzinale per una pellicola così lieve.
Così lieve e così umana, François.
Tutto il contrario della NOTTE BIANCA DI VILLAFRANCA.


giovedì 28 agosto 2008

Libri letti / Film visti

Oggi mi andava di buttare giù una lista di cose fatte, avendo appena finito l'ultimo Nick Hornby (ancora mi metto a compilare cose come "La top 5 dei miei album post punk preferiti"... come "Alta Fedeltà" mi ha insegnato), e quindi sono andato con le ultime letture e visioni.
Eccole qui.

Libri letti:


Nick Hornby - Tutto per una ragazza
Il Mio Parere:

Walter Tevis - L'uomo che cadde sulla terra
Il Mio Parere:


Simon Goddard - The Smiths, The songs that saved your life
Il Mio Parere:




-The Smiths: The queen is dead-



Film visti:


X-Files: Voglio crederci, di Chris Carter
Il Mio Parere:

Il cavaliere oscuro, di Chris Nolan
Il Mio Parere:


I figli degli uomini, di Alfonso Cuaron
Il Mio Parere:


Be kind rewind, di Michel Gondry

Il Mio Parere:



-Il Cavaliere oscuro, il trailer-

sabato 9 agosto 2008

Pink Floyd: Animals Tour Bootleg


Devi essere una forza, e avere una gran volontà,

dormire con un occhio aperto,

e quando sei per strada devi essere in grado

di scegliere la carne facile senza nemmeno guardarla.

E poi, entrando silenziosamente, controvento, non visto,

devi colpire al momento giusto,

senza pensare.

E dopo un po’ potrai cominciare ad avere stile:

indosserai la cravatta del club, avrai una stretta di mano sicura,

un certo sguardo negli occhi,

e un sorriso facile;

devi conquistarti la fiducia delle persone a cui menti,

di modo che, appena si volteranno dall’altra parte,

avrai l’occasione di pugnalarle.


Devi stare sempre all’erta

Perché si farà difficile, sempre più difficile,

invecchiando.

Ma alla fine farai le valigie, prenderai un volo per il sud,

dove nasconderai la testa nella sabbia:

e lì non sarai altro

che un altro uomo vecchio e triste,

completamente solo,

che muore di cancro…


E quando allenterai il controllo

raccoglierai quello che hai seminato,

e mentre la paura crescerà

il sangue cattivo rallenterà e si farà pietra.

Ma è troppo tardi per abbandonare il peso

che ti serviva per farti grosso,

e allora fatti una bella bevuta

mentre continui ad affondare

e scendi sempre più giù,

completamente solo,

trascinato dal tuo masso.


Devo ammetterlo:

sono un po' confuso.

A volte ho come l’impressione di sentirmi usato:

devo rimanere ben sveglio , cercare di scacciarlo,

quest’inquietante malessere;

se non tengo duro

come posso sperare di venir fuori da questo garbuglio?


Cieco, sordo, e muto,

non fai altro che dirti

che tutti sono sacrificabili,

e che nessuno ha dei veri amici.

E ti sembra che quello che fai non sia altro

che selezionare i vincenti,

che tutti i giochi sono ormai fatti,

e quello che credi nel profondo

è che tutti siano in grado di uccidere.


Chi è quello che è nato in una casa colma di dolore?

Chi è quello che è stato allenato a non sputare controvento?

Chi è quello a cui è stato imposto cosa fare da chi conta?

Chi è quello che è stato fatto a pezzi da personale qualificato?

Chi è quello a cui sono stati messi collare e catene?

Chi è quello a cui è stata data una pacca sulla spalla?

Chi è quello che si stava allontanando dal branco?

Chi è quello che era uno sconosciuto nella sua stessa casa?

Chi è quello che alla fine è stato oppresso?

Chi è quello che è stato trovato morto al telefono?

Chi è quello che è stato trascinato giù dal suo masso?

(Dogs, Roger Waters)


MusicPlaylist



C'è un adagio che è noto a molti appassionati di musica, a molti ragazzi indie, o comunque in generale a chi legge la stampa specializzata (non troppo rétro). Che sarebbe: gli ultimi Pink Floyd fanno schifo, i veri PF -quelli che contano- sono quelli di Syd Barrett. O quasi. In realtà le accuse si rivolgono perlopiù al materiale della band da "Dark side of the moon" in poi.
In poche parole: "Dark side..." è una palla da frichettoni, e non di meno "Shine on you crazy diamond". Mentre il resto non conta più ("The wall" sarebbe solo un esercizio di grandeur. Come se stessimo a parlare, non so , di Michael Jackson che fa Earth Song...).
Ovviamente non sono molto d'accordo (soprattutto su "Dark side...", mentre capisco che "Shine on..."sia un po' una psichedelia -molto rallentata- fuori tempo massimo...via, eravamo già nel '75, etc etc. Su "The wall" lascio stare che sennò non ne esco più).

E allora cosa rimane di cui parlare?
Non abbiamo finito gli album? No, perché c'è "Animals"

(Avverto sbigottimento nelle prime file e risatine malcelate nelle ultime).

Sì, ho detto "Animals".
Ora, non intendo fare revisionismo e lanciarmi nella tendenza molto in voga (soprattutto sul web, ma non solo) degli album sottovalutati dalla critica e dal pubblico dell'epoca, i cosiddetti "Capolavori incompresi" e via dicendo, che è magari troppo; eppure "Animals" non merita la fine di "Cut the crap" dei Clash o di "Human touch" di Springsteen o di "Re-Ac-Tor" di Neil Young (che invece stanno bene lì dove stanno: nel dimenticatoio).

Ho le mie ragioni per difendere "Animals". Principalmente:

-"Animals" è la dimostrazione che ogni volta che Gilmour diceva di avere poco spazio quando Waters era nella stanza dei bottoni sparava balle. Perché qui ha avuto tutto lo spazio che voleva. Solo che i fans tendono a scordarselo perché (bè, magari anche perché dimenticano proprio l'album) qui la sua fender non ha quel bel sound gentile, liquido (su cui aveva messo le mani in Echoes di Meddle, e che poi non mollerà più) e preferisce invece suoni aspri, taglienti (cosa inevitabile considerato che l'album è quanto di più distante ci possa essere dagli svarioni magari un po' melliflui di Shine On).

-"Animals" è un album crudele, senza pietà. Non ne aveva all'epoca per i fan che magari si aspettavano uno "Shine on" 2, e di sicuro non ne ha per la società che dipinge: Cani, Pecore, Porci (anche Alati). Cioè più o meno tutti noi: chi tira le redini del gioco (i Porci, che prendono le decisioni, quelli in cima alla catena sociale ed economica), chi esegue i loro ordini senza alcun umana comprensione o sentimento (i Cani, che possono arrivare anche ad uccidere, o comunque a pugnalare alle spalle semza problemi, si veda la mia traduzione di sopra), e chi rimane supino, ad accettare tutto questo (le Pecore, le quali non si pongono troppe domande pur di essere lasciate stare, di avere la loro famiglia, la loro casetta, etc).

-"Animals" è uscito nel '77, mentre i punk sputavano in faccia al sistema (o almeno alle effigi della regina). Roger Waters in queste 5 tracce fa lo stesso. Solo lo fa con pezzi di 15 minuti, e prendendo un po' a prestito da George Orwell. Non so se il primo sia un crimine, ma comunque sia la musica rock raramente è stata così diretta, politicamente significativa, cinica, e motivante (certo, sempre che uno capisca o ci voglia credere- questo va da sé). Esempi che mi vengono in mente? Revolution dei Beatles/Lennon, We won't get fooled again degli Who. I primi che mi vengono, d'accordo, ma non sono poi così tanti i casi. I più (quelli che parlano di politica senza troppe metafore) hanno sempre tirato fuori cose piuttosto retoriche, senza grande nerbo. Basta leggere invece l'ultima strofa di Dogs qui sopra per farsi venire un certo brivido. Un brivido che mi è sempre venuto con le canzoni più "cattive" di Waters, derivate credo dall'impressione che quest'uomo sappia essere allo stesso tempo incredibilmente crudele e nel giusto. Canzoni come queste (o altre che ha scritto, tipo quelle nel suo LP solista "Amused to death") mi danno quel senso da "Like a rolling stone", quel senso di qualcuno che ci gode a prendere a calci nei denti i peggiori porci della nostra società.
Un po' quella sensazione che hanno sicuramente provato molti italiani quando 15 anni fa vedevano altri italiani tirare monetine addosso ad un Bettino Craxi in fuga.

Sto magari calcando la mano, ma solo per dare -ancora una volta- un'idea di quello che penso "Animals" voglia essere: un dipinto a toni scuri, volutamente monocorde di un'umanità moralmente degenere, da mettere al bando.

E' ovviamente facile comprendere perché molti non si riconobbero come fans di questi Pink Floyd: niente ballate per indolcire le "quite desperation" di cui "Dark side..." parlava, niente catartici anthems su cui spiegare la voce (ho visto coi miei occhi 50enni alzare le mani al cielo e cantare a squarciagola il refrain di "Shine on..."), e al loro posto pezzi di musica che assomigliano di più a canzoni di protesta folk procrastinate oltre l'immaginabile durata con intermezzi di chitarre acide e a-melodiche (e tastiere un po' sconclusionate) e con un cantante che non sembra mai trovare un ritornello preferendo far correre la propria voce in lunghe cavalcate di strofe verso un ultima riga che si concluderà inevitabilmente con un urlo. Un ululare alla luna per disperazione quasi (ancora una volta mi torna in mente Dylan: non è così che concludeva quasi tutte le strofe in "Blood on the tracks", forse?).

Se la cosa non vi interessa ok. Se invece così non è il mio consiglio è (oltre ovviamente a quello di andare a cercarvi "Animals", su questo blog per esempio) di andare a scaricarvi il meraviglioso concerto del tour di Animals a Oakland sul forum di guitars101 (andate in fondo alla pagina e troverete i 4 link attivi di rapidshare: magari ci vorrà un po' per il download completo ma ne vale la pena). Qui in alto, sotto il testo, potete sentire la Dogs tratta da quel bootleg. Un bootleg che mi ha dato il via per questo post perché ascoltandolo (tra l'altro la qualità è spaventosamente alta per un bootleg dei Pink Floyd dell'epoca: credetemi) mi si è chiarificato quello che avevo in parte intuito vedendo Dogs dal vivo in un tour di Roger Waters qualche anno fa, e cioè che "Animals" è fatto per non essere musica da sottofondo. E' (stato) fatto se non per essere ascoltato al volume più alto possibile (non è né "Never mind the bollocks" né "Ziggy Stardust"), è sicuramente un album che richiede tutta l'attenzione che possiamo dargli. Non potete canticchiare Dogs o Sheep sotto la doccia perché l'idea è che probabilmente dobbiate mettervi in un posto comodo, spegnere la tv, smettere di leggere i blog o cercare cose su google e fare soltanto quello. Roba molto inattuale, me ne rendo conto.

Per chi (come è accaduto a me) venisse messo KO dal bootleg che dicevo: esiste anche una versione lossless su Quality Boots.
Ultima cosa su questo concerto: oltre alla riproduzione per intero dell'album vengono eseguiti anche l'intero "Shine on..." (la cui seconda parte della title-track è formidabile), e se leggerete le varie note del recensore nonché (parziale) responsabile del mixaggio vi accorgerete di quanto quello fosse stato un concerto memorabile e fuori dall'ordinario per i Floyd: il pubblico fu molto partecipe senza essere rumoroso o fastidioso (Waters arrivò persino a sputare addosso ad un "fan" nelle prime file nel famigerato concerto del 6 luglio a Montreal reo di essere ubriaco e di non fare altro che schiamazzare in compagnia dei suoi amici per tutta la durata dei set), tanto che tornarono inaspettatamente per un secondo bis ed eseguirono (per la prima vota da un bel pezzo e per l'ultima volta nella loro carriera) Careful with that axe Eugene.
E poi ascoltate, per favore, cosa viene fuori da Pigs: con quale trasporto suona Gilmour e come la canta Waters. Ma è l'intera performance ad essere incredibile per potenza e convinzione.

mercoledì 6 agosto 2008

Folk(-Rock) Britannico #1: Lal Waterson


Mentre dormo nel mio letto

Strani pensieri mi attraversano la mente.

Ho sognato

Che stavi giocando coi miei capelli.

Fringuello splendente, splendente Cavaliere.


Cade la pioggia ed il vento ruggisce

Tutti stanno dentro, in casa.

Noi attraversammo un guado

Correndo nella brughiera.

Fringuello splendente, splendente Cavaliere.


I tuoi sogni nei miei sogni

Sono mari azzurri nei raggi del sole;

Ombre di blu, ombre di verde

Questi sono i tuoi sogni nei miei sogni

Fringuello splendente, splendente Cavaliere.


Buongiorno a te, contadino

Brindo al tuo cuore, alla tua famiglia, alla terra.

Ti pagherò un anello ed un bracciale d’oro

Il tuo campo, solo per poter andare a cercare

Un Fringuello splendente, uno splendente Cavaliere.


Signore e signora, sembra mattina,

La mia famiglia è morta, il mio cuore è sepolto,

Non ho alcuna terra: non è tempo per coltivatori questo

Né per Fringuelli splendenti o splendenti Cavalieri.


Mentre dormo nel mio letto

Strani pensieri mi attraversano la mente.

Ho sognato

Che stavi giocando coi miei capelli.

Fringuello splendente, splendente Cavaliere.


(Fine Horsemen, Lal Waterson).


Ancora una volta mi trovo a scrivere spinto un po' dal caso: qualche settimana fa mi è capitato di trovare, mentre frugavo in un negozio polveroso dell'usato (abbastanza noto nel veronese più che altro a genitori affranti dal costo dei libri scolastici e che ripongono nel negozio di cui sopra la lo
ro fiducia sperando così di vedere un po' dei loro soldi investiti nell'educazione dei loro figli restituitagli grazie alla vendita dei libri dell'anno precedente come usato...speranza spesso mal riposta, ma tralasciamo), perlopiù concentrandomi su vecchi LP. Concentrazione che venne presto meno (non sono il tipo da rivalutare cose come "Festivalbar '84" o Mino Reitano), e così distolsi il mio sguardo e -eccoci finalmente al punto- trovai un libro. Un apparentamente anonimo "Folk inglese e musica celtica" (di Antonio Vivaldi, pubblicato da Giunti), parte di una serie a cura di Riccardo Bertoncelli...e il vecchio Bertoncelli fece sì che mi fidassi e l'acquistassi. Oddio, un po' fecero i miseri 3 euro di prezzo o qualcosa del genere. Ma tant'è.
Lo feci principalmente per due o tre motivi che posso riassumere molto brevemente: Richard Thompson, Sandy Denny e Fairport Convention. Insomma 3 nomi che la fanno da padrone sul mio ipod. E da un pezzo.

Fatto sta che tornai a casa, e da allora (grazie a internet più che altro, dato che i distributori italiani non sembrano essere particolarmente inclini ad assecondare i miei gusti, e preferiscono invece -ci fosse un dio di sicuro li punirebbe- ignorare la maggior parte di questa musica...) ho avuto modo di trovare più di un musicista che mi aggrada. Anzi, ne ho trovati a pacchi (ecco il perché del "#1" del titolo, l'avrete intuito).

Ma venendo al dunque:
Lal Waterson è sorella di Mike e Norma Waterson,assieme ai quale è fondatrice cantante dei Watersons, un gruppo di musica tradizionale inglese su cui qui non mi dilungherò (basti sapere che le loro erano canzoni perlopiù non accompagnate, a differenza di quelle presenti nei loro lavori da solisti). Lal sbocciò come autrice di canzone nel periodo successivo alla pausa dalle attività che si presero i Watersons dopo il 1966 (la sorella andò a fare il dj...ai tropici! Non proprio quello che ci si aspetterebbe da una protagonista della scena folk, abituata a frequentare e suonare in pub fumosi etc etc...), cioè quando iniziò a mettere in musica le poesie che scriveva.
Fu così che nacque il piccolo miracolo chiamato "Bright Phoebus" a nome Lal e Mike Waterson.
Non sarò così presuntuoso dal mettermi a trinciare giudizi (o almeno non subito..datemi un 20, 30 righe, ok?), eppure quella Rubber Band iniziale (presumo di Mike però) mi suona come una Magical Mistery Tour suonata e cantata da folksters: te li immagini a saltare e battere le mani (un po' insensatamente magari) mentre la cantano e ti viene un po' da sorridere. Ed è essere cinici pensare che sia solo una robetta stupida. Ma la canzone che segue di lì a poco, Fine Horsemen (qui sopra la mia traduzione del testo) è un altro pianeta. Probabilmente è anche il pezzo che mi parla e mi dice di più: canzone di amore e morte e canzone che racconta di quel senso di dislocazione che si ha dopo aver subito una perdita, Fine Horsemen è il gioiello nel ricco lotto di preziosi che è "Bright Phoebus". Basterebbe, forse, anche solo la chitarra (non mi è riuscito di capire se si tratti di Richard Thompson o Martin Carthy), che tratteggia la desolazione come solo un arpeggio può fare a rendermi estremamente contento di essermi imbattuto nel libro di Vivaldi, credo.
Un'idea può darla questa versione eseguita dalla figlia di Lal, Marie, durante una serata-tributo alla memoria della Waterson:



Il resto dell'album non delude, anzi, inanellando esempi di folk rock in senso lato che meritano tutti i soldi di un CD (a trovarlo...), seppure canzoni così -è inivitabile- non si possono ripetere.
Nel 1977 u
scì un altro album di Lal ("A True Hearted Girl"), questa volta in compagnia della sorella Norma, su cui non mi soffermo (in parte perché non lo conosco ancora abbastanza bene, in parte perché non mi pare sui livelli del precedente e del successivo. Ovvio che però potrei sbagliarmi e di brutto), per passare al piatto forte, o quello che presumibilmente dovrebbe esserlo per chi ha meno di 40 anni (la mia mano è alzata), cioè quel "Once in a Blue Moon" (di 20 anni successivo: è del 1996) a nome Lal Waterson & Oliver Knight (ma sempre questione familiare è: trattasi infatti del figlio, autore, chitarrista e produttore).
Quello che è "Once in a Blue Moon" sarebbe meglio esplimerlo con dei colori: scuri, gradazioni di blu, di nero, di argento. Un disco con chitarre meravigliose, cesellate finemente, ma sempre utili (solo nel quasi hard di Phoebe le scelte di arrangiamento di Knight non convincono appieno). La voce della Waterson è ferma ma si piega ogni volta che deve per dare qualcosa di più. Morì di lì a poco (nel 1998: era malata), ma la sola Cornfield basterebbe per farla vivere per sempre: se qualcuno potesse immaginare un Thom Yorke a 50 anni chinato su una chitarra acustica e a cui venga chiesto di suonare una sola canzone e poi smettere di suonare per sempre...bè, quello che suonebbe (almeno per me) non potrebbe che assomigliare a Cornfield. Canzone su un omicidio sottinteso, una canzone che percorre strade in parte già tratteggiate da un Nick Cave o da un Johnny Cash, Cornfield evoca un'atmosfera da fine del tempo facendoci sperare che non finisca mai: una melodia si muove lenta come un fantasma e presto svanisce in un discreto frusciare di chitarre acustiche.
Provate ad ascoltarla:


MusicPlaylist



Cerco di chiudere a questo punto e spiegare perché "Once in a Blue Moon" può essere un album per chi non ha visto di persona gli anni '60: perché per quanto il cuore di Lal Waterson portasse tutti i segni della tradizione musicale inglese quello che ne esce qui evita di seguirne i dettami, e traccia un segno tra passato e presente, distanziandosì così prepontentemente da "Bright Phoebus" e "A True Hearted Girl", e donandoci una musica che non suona spesso meno attuale di un "Ok Computer" o di un "Neon Bible". Molto del merito sarà sicuramente delle chitarre leggere e lucenti di Oliver Knight, tanto importanti quanto può esserlo -mettiamo- il basso di Hook per "Unknown Pleasures" dei Joy Division. Ciònondimeno basterebbero la qualità della scrittura della già citata Cornfield, ma anche Flight of the Pelican, o Dazed (etc etc)...per iscrivere "Once in a Blue Moon" nella categoria dei capolavori.

Per chi cercasse "Once in a Blue Moon" sul web consiglio di fare un salto a vedere Misha4music.

mercoledì 23 luglio 2008

David Bowie: Station To Station


La produzione di David Bowie negli anni '70 è strabiliante: per qualità e quantità credo si possa paragonare solo a quella di Dylan negli anni '60. Per dire le cose come stanno:"Hunky Dory", "Ziggy Stardust", "Aladdin Sane", "Diamond Dogs", "Station To Station", ed infine la trilogia berlinese di "Low" "Heroes" e "Lodger"... Roba da far tremare le gambe.
Eppure "Station To Station" fatica a trovare il suo posto nella memoria degli appassionati musica, trovandosi a ridosso alla (ultra)citata trasferta teutonica del Nostro. Eppure. Eppure mi sembra a dir poco ingiusto che STS venga spesso visto soltanto come un album "di transizione", come se qui Bowie non fosse totalmente a suo agio con se stesso o non avesse centrato perfettamente il bersaglio.
Perché "Station..." è un album di una bellezza abbacinante. Seppure spaventosa. Seppure tremenda. E lo è tanto di più perché (a differenza che nella trilogia berlinese) qui il duca bianco non abbandona mai la forma canzone (che pure traballa non poco nella title track, attaccata a colpi di funky glaciale e drones di feedback), ma piuttosto la destruttura arrivando al punto in cui il funky e la black music vengono utilizzati con intenti diametralmente opposti a quelli a cui si è abituati. E vale fino a un certo punto chiamare in causa il krautrock in questo caso (certo, le sonorità in comune ci sono, soprattutto coi Can e -direi io- La Dusseldorf e Harmonia, ma non solo) perché i Can ad esempio quando facevano funky era un funky molto quadrato, privato di molto del suo carattere "sexy", d'accordo, ma raramente arrivava ad essere lo spettro di sé come appare in STS.
Prendete perfino l' "allegra" TVC 15: l'iterazione del riff e del chorus è ossessiva quanto un incubo, ed il terreno in cui Bowie si avventura (termine che non può che essere perfettamente calzante per i suoi anni '70) è infatti denso di ombre. Ombre che somigliano a macchinari perfettamente funzionanti e senza pietà, ombre che si allungano fino a perdere forma: la maschera di questo Bowie (il cosiddetto "Thin white duke", il duca bianco) mi appare sempre di più una maschera urlante. Qualcosa che va indietro fino al (tanto amato da lui) 1984 di Orwell ed avanti fino a OK Computer dei Radiohead. Chiamatela, se volete, disumanizzazione dell'uomo.



(David Bowie: Station to station - Live Vancouver, 1976)

Cosa strana poi è che non era mia intenzione parlare di questo. Però domenica mentre peregrinavo (la storia è lunga e la salto a pié pari) mi sono imbattuto in un mercatino. E io di solito ho solo 3 tipi di oggetti che posso voler cercare in un mercatino (dell'usato e non solo), e questa volta non era diversa dalle altre. Ovvero cercavo: dischi, libri e strumenti musicali (inusuali).

Risultati:
-Un Maigret e "L'uomo che cadde sulla terra" (per i libri).
-"Car wheels on a gravel road" di Lucinda Willams e "Station to station" di Bowie (per i dischi: rispettivamente in CD e in vinile. A proposito: la foto che vedete qui sopra è proprio lui. Davanti a qualche pila di CD e con un vinile di "Blood On The Tracks" che spunta da dietro).
-Nessuna fortuna per quanto riguarda gli strumenti musicali inusuali invece (come al solito).

Ed è stato proprio ascoltandolo (più che altro oggi) l'LP ad alto volume sul mio hi-fi (prima ne avevo una copia solo su mp3, se di copia si può parlare) che tutto mi è tornato indietro: l'impatto, la paura, il fascino, persino "Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino" (dove la protagonista racconta di essere stata ad un concerto di Bowie ed in particolare della canzone Station to station, seppure non sembri conoscerne il titolo, ma il chorus della seconda parte -"It's too late..."- le si incide nella psiche).
Ecco perché ne scrivo. Perché è questo che gli esseri umani fanno, no? Si raccontano storie terrificanti sulla fine del mondo per affascinare gli altri e togliersi un po' di paura di dosso.

Buonanotte.

PS
Per chi non ne avesse abbastanza:

Leggete di STS su Wiki, oppure potete trovarne una bella recensione anche su Stylus Magazine.

Naturalmente se cercate su qualche download non vi resta che fare un breve ricerca...

Ed infine, per chi volesse una prova della resa live del Bowie del 1976 date un'occhiata allo storico bootleg (il live al Nassau ColiseumUniondale, NY del 03/23/1976) che si trova su Guitars 101.

venerdì 18 luglio 2008

Teatro Romano, Verona: "La Tempesta"


Ieri ho assistito alla prima italiana al Teatro Romano di Verona de "La Tempesta", balletto tratto dall'omonima opera di Shakespeare e adattato dallo Bayerisches Staatsballet di Monaco. Per dirla tutta ne ho fatto pure una recensione che potete leggere su nottidaleon.it.
Non riporto qui di tutte le cose che scrivo, ma di questa credo ne valga la pena. Se non per come è scritta (magari non piace come scrivo, d'accordo), almeno per invogliare qualcuno a vedere "La tempesta" nelle date rimanenti: oggi 18 luglio e domani 19 luglio.

Per informazioni su biglietti e altro vi rimando al sito dell'Estate Teatrale Veronese.

martedì 15 luglio 2008

Garda Smile # 2


Aggiornamento su Garda Smile, live al Paparazzi Lounge Café di Lazise (VR).
E' stata annullata la serata di domani 16 Luglio, per cui la serata successiva, ovvero il 31 luglio sarà una serata solo-musica con Mindfield + Younger Son.

Garda Smile:
-31 Luglio: Mindfield + Younger Son

sabato 5 luglio 2008

Husker Du: Quegli anni importanti


Mi è capitato qualche giorno fa di ritrovarmi a parlare degli HUSKER DU (fate conto che ci siano le dieresi sopra le u). E mio dio: gli Husker Du! -mi è venuto di pensare, tra me e me. Perché gli Husker Du sono stati uno di quei gruppi che -quasi dal primo istante, quando ho iniziato ad ascoltarli- mi hanno rapito. Sequestrato. Soggiogato la mia fantasia. Credo non me l'abbiano ridata per un 6-7 mesi almeno (diciamo il tempo di metabolizzare tutta la loro discografia, pressapoco). Ricordo che partii dall'inizio, cioè dagli esordi hardcore ("Everything Falls Apart") e lì per poco non capii. Un po' perché non sono mai stato molto ricettivo verso l'hardcore, ed un po' -credo- a ragione, dacché mi pare oggettivamente difficile definirlo il loro album migliore. D'accordo: l'urgenza punk e via dicendo...ma per me l'angst punk viene fuori meglio (seppure meno punk) qualche anno dopo. Ma riprendendo il segno: quasi non capii. Eppure c'era una canzone in quell'album (la title track) che faceva intravedere dell'altro: del sole, della melodia...i sixties addirittura. Stavo per prendere un abbaglio? Sì e no. No perché nella seconda parte della loro carriera (post-"Zen Arcade") gli Huskers si sono dilettati più d'una volta con le melodie un po' british un po' west coast deli anni '60. E sì perché in realtà chi più prendeva da quel repertorio non era l'allora deus ex machina degli HD Bob Mould (che inizialmente divideva i compiti della scrittura col bassista Norton...la cui vena creativa morì di lì a poco), ma bensì il suo sodale Grant Hart. Ovvero il batterista (scarso, un po' fraccassone all'inizio, e mai comunque eccelso, nemmeno a fine esperienza HD).
Hart era il melodista. Il Maccartney, diciamo, laddove Mould era un problematico Lennon: grida nel microfono e testi che odoravano di pessimismo cosmico il secondo laddove il primo faceva spesso venir voglia di agitare tamburelli mentre cantava di UFO, spose, amori.
Divago, divago...
Perché quello che importa è che gli Huskers furono una band unica. Perché? Perché non ho mai più sentito una band essere (o venire dal) punk e saper essere così melodica, e al contempo seria. Perché, si sa, il punk non rifiuta la melodia tout court (non lo facevano i Clash in fondo, e soprattutto non lo facevano i Buzzcocks, per non parlare degli americani. Tipo i Ramones, che erano la versione punk di una band motown, in qualche modo), ma solitamente melodia faceva rima con leggerezza. Non con gli Huskers. Perché gli Husker Du erano maestri dell'inganno: ti davano un mix di caleidoscopi di colori (e melodie qua e là quasi psichedeliche, vedi la cover di Eight Miles High su youtube) e pugni alle costole.
Tutto questo per dire che These important years (tratta dal loro capolavoro "Warehouse: songs and stories") è una delle mie canzoni preferite, ed un buon esempio di quello che ho detto fin qui.
Quindi cliccate qui sotto ed ascoltate, e date una chance alla mia traduzione di seguito.

PS

E per chi non ne avesse abbastanza degli Husker Du consiglio di dare un'occhiata al blog Radiçao Sonora, dove avrete modo di approfondire.


MusicPlaylist





"These important years" - "Questi anni importanti"

C'è che ti alzi ogni mattina
e ti rendi conto che è tutto uguale
tutti i pavimenti e tutti i muri
e tutto il resto è rimasto
niente cambia abbastanza in fretta
la smania, i giorni che danno da pensare
tutto ti fa venir voglia di mollare
e perderti nella nebbia

Le rivelazioni appaiono solo un modo diverso
per far sembrare i giorni più veloci comunque vadano le cose

E stiamo tutti a scambiarci smancerie
indipendentemente da come ci sentiamo
e non c'è una persona che sappia distinguere la differenza
perché è tutto irreale all'apparenza
quindi è meglio aggrapparsi a qualcosa, una cosa,
che sia semplice ma vera
se non ti fermi per annusare il profumo dei fiori
finisce che te li ritrovi sopra

Le "aspettative" sono un modo per dire che pensi di sapere
quel che t'aspetta ma in realtà non lo sai

Album con fotografie tue
di amici che avresti potuto avere...
questi sono gli anni importanti per te
meglio se li fai durare
mentre ti innamori e disannamori come...
questi sono gli anni importanti per te, sono la tua vita


E una volta che avrai visto la luce, alla fine,
ti renderai conto che le cose potrebbero andare bene
potrebbero andare bene adesso.

domenica 29 giugno 2008

Bob Dylan Bootlegs

Potrei probabilmente parlare (e scrivere) di Bob Dylan per ore. Perché la carriera e l'opus di Dylan sono così grandi da trasfigurarsi ogni volta che li si osserva attentamente: è come un fiume lungo centinaia di km che attraversa regioni dalle caratteristiche morfologiche completamente diverse, tanto da non apparire nemmeno lo stesso a seconda di dove lo si incroci (il bel danubio blu dei viennesi non appare più tanto blu a Budapest, e probabilmente non sarà nemmeno più tanto bello alla foce), così la musica di Dylan di "Nashville skyline" fa notoriamente a pugni con quella (di pochi anni precedente) di "Highway 61..." o "Blonde on blonde". Per non parlare della svolta cristiana dell'inizio '80...
Ulteriore cosa che salta agli occhi quando ci si addentra nelle storie su Dylan, nel suo percorso musicale dal '61 o giù di lì ad oggi - diciamo -è quanto la trasfigurazione possa diventare quasi inaccettabile per i cultori della "versione del disco" delle sue canzoni quando ascoltanto le rese live (di classici e non). La sua discografia ufficiale ha reso questo aspetto noto a molti in particolare grazie all'uscita qualche anno addietro dei live della Rolling Thunder Revue nel Volume 5 della sua "Bootleg Series" dove ad esempio l'iniziale Tonight I'll be staying with you aggrediva gli ascoltatori con una performance gridata fin quasi alla violenza, oppure (sempre nel suddetto vol.5 della serie) la fondamentale e completamente trasformata versione blues-rock di A hard rain... (un unico grande urlo rock laddove il suo antecedente su disco -la versione "originale"- era un dolente trascinarsi folk). Mi ricordo ancora di averla sentita per la prima volta in un negozio di dischi (appena era uscito il CD), esserne rimasto fulminato, essermi girato verso il proprietario (che di musica ne sapeva anche più di me), il quale mi ha sparato un "Senti che voce aveva allora...", mentre io già stavo prendendo nota mentalmente dei soldi che dovevo mettere da parte (ai tempi in cui internet e banda larga erano ancora un miraggio lontano) per acquistare quel doppio CD.
Per dire un altro effetto dei concerti del vecchio Bob (e questo accade con persino maggiore frequenza col passare degli anni, date le capacità sempre più limitate delle sue cordi vocali) è la sorpresa che coglie molti tra l'audience nel riconoscere un classico magari soltanto dopo che Dylan ne ha cantato i primi versi...se non addirittura il ritornello. Esempio eccellente le decine di versioni esistenti di "Mr. tambourine man".


Bè, tutto questo per dire che qualche giorno fa mi sono imbattuto in una manna per tutti i fan di Dylan, ovvero in Watching the river flow, un blog con MONTAGNE di suoi bootleg (dagli anni '60 sino ad oggi). Sono così tanti che per orientarcisi consiglio di dare un'occhiata a Bobsboots, un sito molto ben fatto e che vi farà da eccellente guida per la ricerca di quelli che possono sembrarvi i bootleg più interessanti (e c'è pure una sezione sui Must have CDs con quelli che dovrebbero risultare i bootleg migliori per qualità audio e performance).


Qui sotto potete avere un esempio di tutto questo mio parlare e sparlare del Dylan on the road con una versione gospel-rock (infatti l'anno era l'81, quindi sul finire della sua parentesi da "Cristiano rinato"), tratta dal live di Avignon.


MusicPlaylist

sabato 28 giugno 2008

Carnera - Video Live Matilda



Un altro post per i Carnera. Del tutto eccezionale perché UNOTV ha postato un intero video del loro live set al Matilda di Lugo. Per vedere tutto il filmato andate sul sito di UNOTV qui, oppure per vederne uno spezzone cliccate qui sopra (esattamente sono riuscito a estirpare dal video di unotv i primi 3 brani: l'Intro, Clash Fm, e Gesù ha un kalashnikov in mano - putroppo qui tagliata sul finale).
Altra news su di loro l'inclusione di una versione acustica di Il futuro è finito... sul myspace di Emergenti Italiani.


venerdì 20 giugno 2008

Garda Smile - Buffoon


Un po' di auto-promozione la posso anche fare:
Ieri è iniziato al Paparazzi Café di Lazise "Garda Smile", ovvero una serie di serate in cui a farla da padrone sarà, volta per volta, una band di Verona (e zone limitrofe). Dico auto-promozione perché le band le ho selezionate io, quindi per ogni lamentela (sulla musica), accomodatevi.

La band che ha inaugurato Garda Smile: i Buffoon.

Che ringrazio per la performance (ed in particolare per avermi assecondato ed aver preferito una cover di Born to run a I don't even know myself degli Who -che pure amo, ma non mi capita così spesso di sentire cover di Springsteen in giro... Confessione fatta). E di cui vorrei sottolineare il gran medley di I can only die (loro autografa, di cui consoglio l'ascolto qui sotto o sulla loro pagina myspace, e che a me non smette di ricordare certi La's) con We're not gonna take it (ancora gli Who, più esattamente il finale di "Tommy"). E complimenti a Valerio per l'assolo del quarto brano in scaletta (ok, ok, di questo non so il titolo).
Qui potete ascoltare un commento di Valerio sulle sorti calcistiche della serata e I can only die (la stessa versione della loro pag. myspace)


MusicPlaylist



Comunque, in conclusione, le serate di Garda Smile riprenderanno il 3 luglio, con questa scaletta:

-3 Luglio: Carnera
-10 Luglio: Double Sound Experience
-16 Luglio: Younger Son
-31 Luglio: Mindfield

Mancano ancora un paio di band/date, che probabilmente seguiranno a queste. Quindi se siete in una band o avete una band da proporre lasciate pure un commento.

Peace.