sabato 5 dicembre 2009

Unthanks

Detto che ultimamente sto scrivendo un numero discreto di recensioni (per dire: oltre a questa ne ho fatta un'altra sull'ultimo dei Built To Spill sempre su Rockshock), ma questo a nome Unthanks è un album particolare, o comunque un album a cui io tengo in modo particolare. Principalmente (ma non solo) perché le due sorelle Unthank e la loro musica non sono certo patrimonio dell'umanità, e figurarsi del pubblico italiano... In breve (brevissimo): il folk che fanno riesce ad essere moderno, rispettoso delle tradizioni, e rigorosamente emozionale. E, per inciso, il loro precedente lavoro, "The Bairns", è uno dei miei album preferiti di questi anni zero.

Quindi andatevi a leggere la mia recensione per Rockshock dell'ultimo "Here's The Tender Coming".

Ed ora qualche video sulle Unthanks:

Rachel Unthank & The Winterset: Blue Bleezin Blind Drunk from shoottheplayer.com on Vimeo.



(Un pezzo dal precedente "The Bairns")



(Cover dei Beatles)



(Dal nuovo album)

mercoledì 11 novembre 2009

Califone

Recensione dell'ultimo dei Califone su Rockshock. Inutile (forse) dire che questi chicagoani mi piacciono non poco, in linea di massima. Ad ogni modo: questo è il link diretto.

lunedì 9 novembre 2009

E l'ultima recensione che ho scritto per EffettoNotte invece è sull'ultimo Michael Moore, Capitalism: A Love Story.
Enjoy.

mercoledì 4 novembre 2009

Ecco una mia nuova recensione (e un'altra nuova collaborazione), questa volta per Kronic.it. Il disco è l'ultimo di Grant Hart, uno dei miei idoli in quanto batterista, nonché uno dei due autori/cantanti (l'altro è Bob Mould) dei mitici Husker Du. Se non sapete chi sono correte a vedere su Wiki, e poi comprate a man bassa (i miei preferiti: "Zen Arcade", "Candy Apple Grey", e "Warehouse").
Bè, questo è il link diretto alla recensione.

PS Venerdì vado a vedere i Piano Magic a Cavriago, se qualcuno vuole unirsi a me.

lunedì 12 ottobre 2009

Ronin su Rockshock

Nuova collaborazione e nuova recensione: "Ronin - L'ultimo re" per Rockshock.

giovedì 8 ottobre 2009

La roux

E ora una recensione che avevo scritto per un sito per il quale collaboravo (e per il quale ho smesso di collaborare proprio per questa recensione: non gli piaceva...)

L’omonimo debutto dei La Roux segue tutti i trend del synth-pop anni ’80 giù giù fino all’improbabile. C’è persino il tipico intermezzo ieratico (ma diciamo pure chiesastico: qualcuno ricorda It’s alright dei Pet Shop Boys? Nei concerti procedevano anche a vestire da suore le coriste per dare meglio l’idea) a fare da “momento riflessivo” per la hit del momento (In for the kill). Ma questo solo per dirne uno.
Qui però c’è una differenza fondamentale rispetto agli anni ’80 veri, e va detta: se alcune di quelle band synth-pop d’antan avevano come ingrediente non secondario del loro mix un certo humour, quest’ultimo sembra invece assente nel secondo giro di giostra che vede protagonisti (di molte classifiche) i La Roux.
E allora chiariamo una cosa: chiunque voglia mettersi a giocare con un revival (spudorato in particolare, come è il caso dei La Roux), ed è così consapevole delle origini dei suoi suoni (riproducendoli tutti, uno dopo l’altro), dovrebbe perlomeno sforzarsi di far pervenire un minimo sindacale di (auto)ironia. Non si chiede a tutti di essere dei Quentin Tarantino e fare della conoscenza e del citazionismo del proprio essere artisti una nuova formula artistica (il cosiddetto postmoderno), che sarebbe oggettivamente chiedere troppo ai La Roux, ma non si può nemmeno far finta di essere usciti dal nulla.
Quello che provoca una certa ilarità, se non una certa diffidenza, però, è leggere certa stampa che viaggia su un binario revisionista e tratta i La Roux coi guanti giocando su un assunto semplice: dietro queste melodie sempliciotte e le acconciature burlone, i La Roux sono degli autori né più né meno degli Eurythmics. Nel tipico schema revisionista per cui: forma d’arte fatta con lo stampino = conoscenza manifesta del genere = profondità e serietà del progetto. Quando, invece, sarebbe molto più semplice dedurne: musica già sentita pari-pari = le idee stanno a zero = progetto fatto più o meno a tavolino apposta per far abboccare sulla scia della moda (revisionista) del momento.
Insomma, il classico caso in cui c’è chi pensa “Se si ascolta bene, sotto questa apparente faciloneria c’è dell’altro”, quando in realtà, se si ascolta meglio (e più a lungo) ci si accorgerà che se si legge qualcosa di più della passione per le melodie banali e gli arrangiamenti da dio-speravamo-di-non-sentirli-più-questi nei La Roux, è solo perché si vuole trovarci sotto qualcosa ad ogni costo.
E giusto per non farsi mancare niente: prescindendo dai quattro singoli (che già sono roba pronta per le compilation nostalgiche del 2030 in vendita a notte fonda in televisione), la voglia di canticchiare pensando a quant’era bello quando c’erano i walkman e il Drive-in tivù scema sensibilmente, pieno com’è quest’album di riempitivi.


venerdì 25 settembre 2009

Basta che funzioni

E questa è un'altra mia nuova recensione, questa per Periodico Italiano. Il film è il nuovo di Woody Allen.

mercoledì 1 luglio 2009

Speciale Go-Betweens su Indie-Eye

Non è un segreto che tra i miei gruppi preferiti (in assoluto) ci siano i Go-Betweens. E' quindi con una certa soddisfazione che dico che a partire da oggi sarà possibile leggere su Indie-Eye uno speciale monografico in quattro parti (da me scritto, yes) sulla suddetta band australiana. Nei prossimi giorni/settimane sarà possibile leggere anche le parte 2, 3, e 4.
La prima, comprendente gli anni tra il '77 e l'80, potete trovarla qui:

The Go-Betweens, Parte 1

giovedì 14 maggio 2009

Two Lovers

Post al volo, dopo tanto tempo. Anche qui, una recensione fresca fresca su effettonotte. Ci tengo a segnalarla qui non tanto per la recensione in sé (seppure ci abbia messo del mio), quanto per la bellezza del film. Diciamo che "Two Lovers" sarà sicuramente nella mia top 10 dell'anno (ma diciamo pure top 5).
Ho tentato, per quanto potevo, di rendere onore a questo gran film di James Gray. E invito magari pure a recuperare il precedente "I padroni della notte" (e, come è spesso il caso con i suoi film, non fatevi fuorviare dal plot: la pellicola merita).

PS
La recensione non dice tutto, ovviamente. Non ce l'ho proprio fatta (c'era molto da dire). Questo per dire che: non ho parlato di quanto sia GRANDE Joaquin Phoenix. Maestoso. (E per averne un'ulteriore prova, si veda ancora "I padroni della notte")

lunedì 16 marzo 2009

U2: 1989-12-26 - Dublin, Ireland, Point Depot - "X-Mas at Point Depot" (Bootleg)

Da quando è uscito il nuovo album degli U2 mi sono posto varie domande. La più ovvia: li ho amati quando avevo 15 anni perché avevo 15 anni o sono davvero (stati?) una grande band? E' una domanda che mi sono posto anche quando qualche mese fa erano uscite le versioni deluxe dei loro primi 3 album (e di cui serbavo ricordi cari). Quello che successe allora fu che andando a riascoltare "Boy" e "October" ci ero rimasto un po' male: non che fossero brutti, ma era solo che quello che alle orecchie di un 15enne mediamente ignorante sembrava fresco ed originale ora che sono un vecchietto..bè, e soprattutto un vecchietto che sa dell'esistenza pure di altre band come, per dire un nome, Echo & The Bunnymen, e che quindi gli appaiono un po' meno freschi. Diciamo che quegli U2 che sapevano di new wave, a riascoltarli oggi, mi sembra avessero meno successo (nel creare quelle atmosfere) della band di Ian McCulloch (per non parlare di gente più coraggiosa come i primi Psychedelic Furs). Quindi?
Quindi è forse vero che gli U2 sono solo gli U2 del loro riconosciuto picco (ovvero gli anni '80 compresi tra "War" e "The Joshua Tree") di successo tra critica e pubblico, e nient'altro?
Devo andare a riascoltare quegli album per capire se i 4 irlandesi sono stati davvero sopravvalutati?
Ma soprattutto: cosa rende una band memorabile? Di certo quelle qualità che normalmente vengono riconosciute in questo frangente gli U2 le hanno tutte: numero di fans, album che sono stati impressi nella storia del rock, un cantante carismatico (tanto da apparire antipatico ormai).
Quindi quello che rimane fuori sono, ovviamente, le canzoni.
Che sono, non a caso, il problema degli U2 degli ultimi 10 anni (abbondanti), nonostante (e forse non è un caso) le voci insistenti provenieni dal gruppo, ad ogni nuovo album, che parlavano di "rinascita" o di "ritorno alle origini"...mentre invece le canzoni, appunto, latitavano. Perché da Pop in poi le canzoni che potevano rientrare a pieno diritto nel "canone U2" (cioè: una certa epicità, la carica emotiva, un songwriting solido senza spigoli) sono lentamente scomparse e hanno lasciato posto a caricature di canzoni (di facile ascolto) buone a malapena per una generazione di 14enni rintronati da Britney Spears ("All that you can't...), o un inutile sfoggio di muscoli e distorsioni nel tentativo di rincorrere nuove scene dell'indie ("How to dismantle..."). Infatti se dell'inizio della discesa ("Pop") io, personalmente, salvo un paio di composizioni (If god will send his angels, e Staring at the sun"), di ATYCLB e HTDAB ne salvo una in tutto (Sometimes you can't make it on your own).
Quindi, ben sapendo che non verrò mai a capo della domanda (e in fondo in fondo sospetto che nessuna band dovrebbe meritarsi di diventare così grande ed importante come gli U2), quello che mi resta da fare è rimanere con le mie certezze, ovvero che hanno scritto e suonato due album grandi che si chiamano "The Joshua Tree" e "Achtung Baby", e che attorno a questi due ci sono arcipelaghi di canzoni spesso buone e talvolta ottime, che se avessi mai un figlio mi piacerebbe le potesse ascoltare almeno una volta nella vita (Stay, October, Sunday Bloody Sunday, 40', per dirne alcune).
Senza dimenticare però che ci sono anche degli
altri U2, meno istituzionali, meno monumentali (se si vuole), che ci hanno lasciato un gruppetto di canzoni che definirei bizzarre in alcuni casi, ma persino potenti in altri (i più riusciti). Al primo gruppo (le bizzarre) appartengono di diritto direi Party Girl (mi stupisce sempre che fossero soliti concludere molti dei loro primi concerti proprio con questa canzone divertente e un po' sciocca), ma anche An Cat Dubh/Into The Heart (forse il loro esercizio new wave che preferisco) e Lemon (sul cui giudizio tendo ad oscillare: è una stronzata o no? non riesco a decidermi); mentre al secondo (le potenti) hanno rappresentanti sicuri in Bullet The Blue Sky (Jimi Hendrix faceva risuonare la sua chitarra perché ci si ricordasse del Vietnam mentre The Edge perché ci si ricordasse del Sud America), Zoo Station, e God Part II.
Da qualche parte, lì in mezzo, stanno canzoni come Numb, The Wanderer, e MLK.

Tutto questo per dire cosa?
Bè, fondamentalmente per dire che ci sono addirittura due album interi degli U2 che all'epoca risultavano con ogni probabilità bizzarri: il già citato "Achtung Baby" (con nuove sonorità, imbevuto di un'ironia completamente nuova per i "seriosi" U2, e che avrebbe però finito per danneggiarli per il suo troppo abuso negli anni successivi), dimostratosi però in breve tempo anche potente, e naturalmente l'album (nonché il film) che i 4 stessi sono arrivati più volte a sconfessare: "Rattle And Hum". Nato sulla scia di un tour che li aveva visti spopolare negli Stati Uniti era stato sbandierato all'epoca come il disco della (ri)scoperta delle radici del r'n'r: blues, gospel, rhythm and blues e quant'altro (con ospiti di tutto rispetto come Bob Dylan e B.B. King), è stato presto messo da parte e dimenticato.
Per molti buoni motivi in questo caso (a differenza, per fare i soliti esempi, di "Animals" dei Pink Floyd): il mettere assieme pezzi nuovi registrati in studio, pezzi tali e quali dal vivo, altri rimaneggiati in ottica più "soulful", e qualche cover l'ha reso frammanetario e, appunto, bizzarro.
Quello che mi è sembrato più forte riascoltando "Rattle And Hum" sono non a caso le due canzoni bizzarre e potenti (God Part II, e una Bullet The Blue Sky che sa di zolfo), oltre alla conclusiva (ma forse un po' cheesy, come dicono gli anglosassoni?) (e tutt'altro che bizzarra per gli U2) All I Want Is You.
Fortuna vuole però che mi sia capitato di imbattermi in una pagina html piena zeppa di link a download di bootleg degli U2, e mi sia messo ad ascoltare un bootleg considerato tra i loro migliori in assoluto (o almeno dice così U2Start.com), quello della notte di Santo Stefano del 1989.
Il risultato è stato (inaspettatamente) buono, tanto da farmi chiedere: ma questa versione di Bullet The Blue Sky non è persino migliore? E God Part II posta in bella vista come opener non è un attacco fortissimo? Cavolo, e il lavoro di chitarre (ci sono dei membri della band di BB che danno una mano qua e là) su Desire me la fa sembrare persino bella (!). Da aggiungere poi che Pride e Where The Streets Have No Name non sembrano l'ennesima ripetizione un po' calligrafica che spesso sono dal vivo, mentre All Along The Watchtower è un paio di spanne sopra la versione (molto sbrigativa) apparsa su "R'n'H".
E poi il concerto si conclude con 40' (che per me è come dovrebbe suonare un gospel è nato da questa parte dell'Atlantico).

Provate ad ascoltare questi 2 brani:


MusicPlaylist
Music Playlist at MixPod.com



Ed infine cercate il bootleg in questa marea (per fare funzionare il link copiatelo ed incollatelo su una nuova pag):

file:///F:/U2.G101/U2.Concerts.1979.2009.htm



(Se poi volete provarne altri, per orientarsi, oltre al succitato U2Start, consiglio U2Setlist.com)

lunedì 9 marzo 2009

Cenere e Diamanti

Altra (mia) recensione su Effettonotte, e questa volta ci tengo a segnalarla perché trattasi di un approfondimento su un capolavoro del cinema: Cenere e diamanti di Andrzei Wajda. D'altronde questo mese di Effettonotte è (in parte) dedicato proprio a questo grande regista in occasione dell'uscita (purtroppo in Italia molto sommersa) di Katyn, il suo ultimo film.

Link diretto alla recensione

lunedì 9 febbraio 2009

Giusto perché ormai non ho più alcun ritegno: su effettonotte troverete la mia recensione del film "Valzer con Bashir".
(Questa è una di quelle buone)

Link diretto alla recensione

venerdì 30 gennaio 2009

John Martyn

Mi sveglio oggi, tardi come al solito, e do un'occhiata a pitchfork com'è ormai mia abitudine (come gli anziani guardano i necrologi sul quotidiano questa è una delle mie prime routine), e bang: John Martyn è morto.
Evito i soliti coccodrilli solo per dire che era da pochi mesi che conoscevo la musica di Martyn, da quando cioè mi sono buttato a capofitto nella riscoperta del revival folk inglese degli anni '60 e '70 (Jansch, Fairport, Davey Graham- anche lui scomparso recentemente, Shirley Collins, Watersons, Dick Gaughan, Nic Jones, etc), dopo essere stato messo knock-out da vari album appartenenti al periodo, tra cui proprio quello che da molti è considerato il capolavoro di Martyn, "Bless The Weather".
Ho successivamente scavato e scavato cercando; e ho trovato molto: dai lavori degli anni '60 e inizi '70 basati sulla chitarra acustica Martyn ha spostato pesantemente il suo sound verso confini esterni al mondo folk: fuzzbox e echoplex a profusione dalla fine anni '70 in poi.
Immagino che potrei dilungarmi, ma ammetto di essere solo in una prima fase della conoscenza dell'opera di quest'uomo (che mai ha smesso di fare musica, nemmeno dal vivo quando qualche anno fa gli è stata amputata una gamba) che ammonta ad una ventina di album, quindi faccio un esercizio di umiltà e lascio qui sotto qualche link utile e un paio delle sue canzoni da ascoltare (tra cui una grande interpretazione di Big muff dal vivo, presente nel bootleg trovato sul blog Elastic Rock).

Official Site
Wikipedia
Elastic Rock


MusicPlaylist
Music Playlist at MixPod.com

Bon Iver: Blood Band su indie-eye.it



Un altro po' di autopromozione: troverete la mia recensione del nuovo ep di Bon Iver, "Blood Bank", su Indie-eye.it come weekly rec.
Questo è il link diretto:

Blood Bank