Potrei probabilmente parlare (e scrivere) di Bob Dylan per ore. Perché la carriera e l'opus di Dylan sono così grandi da trasfigurarsi ogni volta che li si osserva attentamente: è come un fiume lungo centinaia di km che attraversa regioni dalle caratteristiche morfologiche completamente diverse, tanto da non apparire nemmeno lo stesso a seconda di dove lo si incroci (il bel danubio blu dei viennesi non appare più tanto blu a Budapest, e probabilmente non sarà nemmeno più tanto bello alla foce), così la musica di Dylan di "Nashville skyline" fa notoriamente a pugni con quella (di pochi anni precedente) di "Highway 61..." o "Blonde on blonde". Per non parlare della svolta cristiana dell'inizio '80... Ulteriore cosa che salta agli occhi quando ci si addentra nelle storie su Dylan, nel suo percorso musicale dal '61 o giù di lì ad oggi - diciamo -è quanto la trasfigurazione possa diventare quasi inaccettabile per i cultori della "versione del disco" delle sue canzoni quando ascoltanto le rese live (di classici e non). La sua discografia ufficiale ha reso questo aspetto noto a molti in particolare grazie all'uscita qualche anno addietro dei live della Rolling Thunder Revue nel Volume 5 della sua "Bootleg Series" dove ad esempio l'iniziale Tonight I'll be stayingwith you aggrediva gli ascoltatori con una performance gridata fin quasi alla violenza, oppure (sempre nel suddetto vol.5 della serie) la fondamentale e completamente trasformata versione blues-rock di A hard rain... (un unico grande urlo rock laddove il suo antecedente su disco -la versione "originale"- era un dolente trascinarsi folk). Mi ricordo ancora di averla sentita per la prima volta in un negozio di dischi (appena era uscito il CD), esserne rimasto fulminato, essermi girato verso il proprietario (che di musica ne sapeva anche più di me), il quale mi ha sparato un "Senti che voce aveva allora...", mentre io già stavo prendendo nota mentalmente dei soldi che dovevo mettere da parte (ai tempi in cui internet e banda larga erano ancora un miraggio lontano) per acquistare quel doppio CD. Per dire un altro effetto dei concerti del vecchio Bob (e questo accade con persino maggiore frequenza col passare degli anni, date le capacità sempre più limitate delle sue cordi vocali) è la sorpresa che coglie molti tra l'audience nel riconoscere un classico magari soltanto dopo che Dylan ne ha cantato i primi versi...se non addirittura il ritornello. Esempio eccellente le decine di versioni esistenti di "Mr. tambourine man".
Bè, tutto questo per dire che qualche giorno fa mi sono imbattuto in una manna per tutti i fan di Dylan, ovvero in Watching the river flow, un blog con MONTAGNE di suoi bootleg (dagli anni '60 sino ad oggi). Sono così tanti che per orientarcisi consiglio di dare un'occhiata a Bobsboots, un sito molto ben fatto e che vi farà da eccellente guida per la ricerca di quelli che possono sembrarvi i bootleg più interessanti (e c'è pure una sezione sui Must have CDs con quelli che dovrebbero risultare i bootleg migliori per qualità audio e performance).
Qui sotto potete avere un esempio di tutto questo mio parlare e sparlare del Dylan on the road con una versione gospel-rock (infatti l'anno era l'81, quindi sul finire della sua parentesi da "Cristiano rinato"), tratta dal live di Avignon.
Un altro post per i Carnera. Del tutto eccezionale perché UNOTV ha postato un intero video del loro live set al Matilda di Lugo. Per vedere tutto il filmato andate sul sito di UNOTV qui, oppure per vederne uno spezzone cliccate qui sopra (esattamente sono riuscito a estirpare dal video di unotv i primi 3 brani: l'Intro, Clash Fm, e Gesù ha un kalashnikov in mano- putroppo qui tagliata sul finale).
Altra news su di loro l'inclusione di una versione acustica di Il futuro è finito... sul myspace di Emergenti Italiani.
Un po' di auto-promozione la posso anche fare: Ieri è iniziato al Paparazzi Café di Lazise "Garda Smile", ovvero una serie di serate in cui a farla da padrone sarà, volta per volta, una band di Verona (e zone limitrofe). Dico auto-promozione perché le band le ho selezionate io, quindi per ogni lamentela (sulla musica), accomodatevi.
Che ringrazio per la performance (ed in particolare per avermi assecondato ed aver preferito una cover di Born to run a I don't even know myself degli Who -che pure amo, ma non mi capita così spesso di sentire cover di Springsteen in giro... Confessione fatta). E di cui vorrei sottolineare il gran medley di I can only die (loro autografa, di cui consoglio l'ascolto qui sotto o sulla loro pagina myspace, e che a me non smette di ricordare certi La's) con We're not gonna take it (ancora gli Who, più esattamente il finale di "Tommy"). E complimenti a Valerio per l'assolo del quarto brano in scaletta (ok, ok, di questo non so il titolo). Qui potete ascoltare un commento di Valerio sulle sorti calcistiche della serata e I can only die (la stessa versione della loro pag. myspace)
Comunque, in conclusione, le serate di Garda Smile riprenderanno il 3 luglio, con questa scaletta:
Mancano ancora un paio di band/date, che probabilmente seguiranno a queste. Quindi se siete in una band o avete una band da proporre lasciate pure un commento.
1-La canzone, lo sanno anche gli alberi, è dei Radiohead. Che io amo, ça va sans dire (per chi mi conosce almeno). Anche se...
2-Anche se non è che sia proprio il loro pezzo migliore. Nella fattispecie: è stato il loro pezzo breakthru (come direbbe MTV, e sarebbe a dire: quello che ha fatto breccia nel pubblico), ma di lì a essere non dico il migliore, ma anche solo uno dei migliori, ce ne passa.
3-Sintetizzando: meglio Lucky 20 volte. E Like spinning plates 30.
4-Eppure. Eppure Prince che suona Creep fa in qualche modo impressione. Un po' come se i Rolling Stones si fossero messi a fare cover degli U2 attorno all'87, diciamo.
5-Ok, resta il fatto che l'arpeggio suonato così fa abbastanza schifo. E che il tutto suona un po' troppo di tamarrata. E non bastano un assolo con un bel sound (o dei gridolini che fanno intuire che il nostro Roger Nelson non sembra aver colto molto dello spirito della canzone...) a farne una bella cover. Ma essendo l'uomo in porpora la spiritual guidance di questo blog (almeno al momento) ci sta, ci sta.
Il futuro del rock sarà anche “finito tanto tempo fa” ma il suo nome potrebbe ugualmente essere Carnera, parafrasando il titolo di una loro canzone. Perché il 17 Maggio in questo piccolo locale della provincia veronese poco prima delle 23 un Intro strumentale prende corpo dall’intarsio di 5 strumenti sul palco, e se ci fosse stato un biglietto per entrare la cifra sarebbe già stata ripagata: riff che si incastrano matematicamente, e un batterista (Manu) che tesse la struttura della canzone come un ragno la tela. Meraviglia sonora, dovendo essere sintetici e volendo proseguire, che tanto ancora c’è da raccontare. Così quell’Intro evapora presto, e Clash FM taglia l’aria con i suoi slap di basso che saltano addosso al pubblico mentre Giamma fa agire i suoi versi per la prima volta: un racconto di noia che vuole essere evasa il suo, ma anche la confessione auto-estorta di un musicista che dice tra sé e sé che per ogni serata che volge al peggio ci sarà sempre una musica che gli ricorda qual è il suo posto nel mondo. Non a caso questo è anche il loro più esplicito omaggio (sin dal titolo) ai Clash.
Naturalmente per chi non li conoscesse lo spettacolo di un concerto dei Carnera è qualcosa tanto complesso a spiegarsi quanto è stratificata la loro musica: chi ha parlato con loro sa che dai (tre) chitarristi al bassista e al batterista i generi che navigano nelle loro autoradio, nei loro lettori musicali, nelle loro teste sono non solo molto diversi ma soprattutto diversi per ognuno di loro. Così per ogni accordo percosso da Gianmaria à la Clash c’è un fraseggio della chitarra di Bomma che circuisce il metal, o un frusciare di basso di Fede che si bagna nei mari della giamaica. E poi ci sono Gianmaria e i suoi versi. Perché Gianmaria può urlare, può cantare con la sua intonazione da Ian Curtis che comunque, per poche che siano le note che tocca (perché un mondo ideale della musica non è un mondo di melismi da dive del soul, ma è un mondo dove chi canta lo fa per agire sulla musica che fa, e non per abbellirla) ognuna di queste note parla di sé, di lui, di noi persino. Forse perché l’arte dovrebbe essere inclusione e sintesi. E forse un po’ è questo che fa il cantante dei Carnera: racchiude in sé un mondo (spesso di bruttezze) per poi sintetizzarlo in testi dove il sarcasmo può essere tale e tanto da rendere ogni ingentilimento della musica commovente, anche se la dolcezza che ne viene è in fondo solo una finzione, un schiaffo in faccia per dire che perquella roba lì, per quella dolcezza, non c’è spazio.
Ma il concerto prosegue. E i Carnera macinano canzoni come un mostro a cinque teste che non teme nulla: così ad esempio in Quelli come noi non sanno vivere, la loro canzone ultimata solo di recente, non temono di cucire assieme tutti gli elementi del loro puzzle-rock con riff che rimbalzano di chitarra in chitarra, con basso e batteria che si incontrano e giacciono spesso insieme come amanti che non riescono a restare divisi; il tutto insomma forma un amalgama sonoro duro, tagliente, e che pure non sbava, non udendosi cioè mai uno strumento che sembri suonare troppo.
Ed è proprio in questo pezzo che forse riesce loro la quadratura del cerchio: avere una canzone decostruita suonata da musicisti “decostruiti” a loro volta. Il che sarebbe musicisti che suonano canzoni in cui non ha più senso parlare di chitarra ritmica vs. solista, e non per un rigore estetico punk in cui gli assoli vengono banditi, ma perché ogni strumento è uno spazio che viene riempito, perché ogni strumento è il tassello di un puzzle. Tanto da fare pensare che per un certo verso i Carnera facciano con sonorità perlopiù new-wave/post-punk (o comunque con un attitudine fortemente rock) qualcosa che si avvicina al post-rock fatto da gente come i Tortoise, che decostruiva appunto la forma canzone: ma laddove quella scuola post-rock era algida e spesso distantissima dall’approccio rock’n’roll i Carnera sono caldi e il rock lo trasudano da ogni poro. Ma si farebbe loro un torto se, al di là di queste riflessioni, non si riconoscesse loro almeno un’altra cosa, e cioè che sono tanto belli da vedere quando alzano il ritmo, quanto lo sono quando i giri si fanno più lenti e, come per miracolo (in Valentina per dirne una) si tramutano in una piccola macchina dub: il basso rotola piano, la batteria ricama controtempi,la chitarra di Dodo strozza la sua voce in piccoli lamenti wah wah e quella di Bomma mormora liquidi accordi sotto effetto chorus.
E allora Bomma, Gianamaria, Fede, Manu e Dodo si sorridono forse un po’ di più in quei momenti. Magari anche perché riescono a guardarsi un po’ attorno e vedere che il pubblico c’è, e gli sorride di rimando.
Un video dal concerto - "Gesù ha un kalashnikov in mano":
"Ora Gesù ha un kalashnikov in mano
E punta proprio dritto su di me
Te lo assicuro, io non sono un buon cristiano
E’ giusto, mi merito le sue pallottole
Ha due o tre modi per sembrare più carino
Diretto, sensibile, più fico e protettivo
Ma stasera la sua grazia proprio non la merito
Stasera la sua grazia proprio non la merito
Ora Gesù ha un kalashnikov in mano
E punta il dito sulle mie depravazioni
Ha guardato a lungo quanto io sia poco umano
Offendendo gli altri con le mie ingiurie ed umiliazioni
Ora Gesù ha un kalashnikov in mano
Mi ama al punto che non riesco a capire
Se c’è più gusto nel spararmi e poi fuggire
O perdonarmi, indottrinarmi per spararmi e poi fuggire
Ora Gesù ha un kalashnikov in mano
E conosce tutto di me
Sa che a sei anni non socializzavo
Sarà per questo che la mia amicizia è sterile
Sa infatti che a nove anni non piacevo
Mi spiego: non piacevo e non mi piacevo
Sa che a dieci anni non piangevo
Sarà per questo che non piango più"
PS
Qui a lato potete ascoltare altre canzoni dei Carnera direttamente dal lettore Flash. Grazie a Giamma per i testi che mi ha spedito e grazie a tutti i Carnera per la loro musica. Andate a vedere le date dei loro concerti tra Verona e provincia sulla loro pag. myspace (tra i link "LE BAND" qui a lato).
In conclusione aggiungo anche quello che forse è il mio testo preferito di Giamma, "Le piante non tradiscono":
"La felicità ha dei limiti
Fiscalmente ha troppi costi e troppo poco deducibili
E’ un sentimento che non posso proprio fingere
E’ questo amore, il tuo amore, che mi manca
E’ questo amore, il tuo amore, che mi manca
La felicità mi perseguita
La natura, sua fortuna, è troppo stupida
La tristezza è nel mio DNA
Non ho mai visto un tulipano piangere
Non ho mai visto un tulipano piangere
Voglio morire stanotte da solo
Voglio sentirmi senza un cuore e senza un lavoro
Voglio poter fotosintetizzare il mio respiro
E poter paralizzare il mio apparato digestivo
Le piante non tradiscono mai
No! Mai!
La felicità è una puttana
La felicità è una puttana
La tristezza è nel mio DNA
Non ho mai visto un tulipano piangere
Non ho mai visto un tulipano piangere
Voglio morire stanotte da solo
Voglio sentirmi senza un cuore e senza un lavoro
Voglio poter fotosintetizzare il mio respiro
E poter paralizzare il mio apparato digestivo
Le piante non tradiscono mai
No! Mai!
La felicità non conta, la felicità non conta, la felicità non conta
Non conta gli alberi che ogni anno bruciano
Non conta gli uomini che ogni anno soffrono
Non conta i bracconieri, i profughi, le mine antiuomo
Il protocollo Kyoto, i danni al buco dell’ozono
La prevenzione sanitaria, il turismo sessuale
Gli orfani, le baleniere, l’economia mondiale
I proiettili, le bombe, il giornalismo e gli immigrati
I pedofili, gli stupri, il carovita e gli ammalati
Il terrorismo, i kamikaze, i disastri nucleari
I conflitti armati, i rifugiati, i soccorsi umanitari
La malnutrizione, i mitra, i blocchi all’importazione
Le organizzazioni non governative, l’istruzione
Le donazioni, i militari, le armi e gli Stati Uniti