domenica 15 giugno 2008

Carnera – Concerto al Setanta Bar di Valgatara, 17 Maggio 2008

Il futuro del rock sarà anche “finito tanto tempo fa” ma il suo nome potrebbe ugualmente essere Carnera, parafrasando il titolo di una loro canzone. Perché il 17 Maggio in questo piccolo locale della provincia veronese poco prima delle 23 un Intro strumentale prende corpo dall’intarsio di 5 strumenti sul palco, e se ci fosse stato un biglietto per entrare la cifra sarebbe già stata ripagata: riff che si incastrano matematicamente, e un batterista (Manu) che tesse la struttura della canzone come un ragno la tela. Meraviglia sonora, dovendo essere sintetici e volendo proseguire, che tanto ancora c’è da raccontare. Così quell’Intro evapora presto, e Clash FM taglia l’aria con i suoi slap di basso che saltano addosso al pubblico mentre Giamma fa agire i suoi versi per la prima volta: un racconto di noia che vuole essere evasa il suo, ma anche la confessione auto-estorta di un musicista che dice tra sé e sé che per ogni serata che volge al peggio ci sarà sempre una musica che gli ricorda qual è il suo posto nel mondo. Non a caso questo è anche il loro più esplicito omaggio (sin dal titolo) ai Clash.

Naturalmente per chi non li conoscesse lo spettacolo di un concerto dei Carnera è qualcosa tanto complesso a spiegarsi quanto è stratificata la loro musica: chi ha parlato con loro sa che dai (tre) chitarristi al bassista e al batterista i generi che navigano nelle loro autoradio, nei loro lettori musicali, nelle loro teste sono non solo molto diversi ma soprattutto diversi per ognuno di loro. Così per ogni accordo percosso da Gianmaria à la Clash c’è un fraseggio della chitarra di Bomma che circuisce il metal, o un frusciare di basso di Fede che si bagna nei mari della giamaica. E poi ci sono Gianmaria e i suoi versi. Perché Gianmaria può urlare, può cantare con la sua intonazione da Ian Curtis che comunque, per poche che siano le note che tocca (perché un mondo ideale della musica non è un mondo di melismi da dive del soul, ma è un mondo dove chi canta lo fa per agire sulla musica che fa, e non per abbellirla) ognuna di queste note parla di sé, di lui, di noi persino. Forse perché l’arte dovrebbe essere inclusione e sintesi. E forse un po’ è questo che fa il cantante dei Carnera: racchiude in sé un mondo (spesso di bruttezze) per poi sintetizzarlo in testi dove il sarcasmo può essere tale e tanto da rendere ogni ingentilimento della musica commovente, anche se la dolcezza che ne viene è in fondo solo una finzione, un schiaffo in faccia per dire che per quella roba lì, per quella dolcezza, non c’è spazio.

Ma il concerto prosegue. E i Carnera macinano canzoni come un mostro a cinque teste che non teme nulla: così ad esempio in Quelli come noi non sanno vivere, la loro canzone ultimata solo di recente, non temono di cucire assieme tutti gli elementi del loro puzzle-rock con riff che rimbalzano di chitarra in chitarra, con basso e batteria che si incontrano e giacciono spesso insieme come amanti che non riescono a restare divisi; il tutto insomma forma un amalgama sonoro duro, tagliente, e che pure non sbava, non udendosi cioè mai uno strumento che sembri suonare troppo.

Ed è proprio in questo pezzo che forse riesce loro la quadratura del cerchio: avere una canzone decostruita suonata da musicisti “decostruiti” a loro volta. Il che sarebbe musicisti che suonano canzoni in cui non ha più senso parlare di chitarra ritmica vs. solista, e non per un rigore estetico punk in cui gli assoli vengono banditi, ma perché ogni strumento è uno spazio che viene riempito, perché ogni strumento è il tassello di un puzzle. Tanto da fare pensare che per un certo verso i Carnera facciano con sonorità perlopiù new-wave/post-punk (o comunque con un attitudine fortemente rock) qualcosa che si avvicina al post-rock fatto da gente come i Tortoise, che decostruiva appunto la forma canzone: ma laddove quella scuola post-rock era algida e spesso distantissima dall’approccio rock’n’roll i Carnera sono caldi e il rock lo trasudano da ogni poro. Ma si farebbe loro un torto se, al di là di queste riflessioni, non si riconoscesse loro almeno un’altra cosa, e cioè che sono tanto belli da vedere quando alzano il ritmo, quanto lo sono quando i giri si fanno più lenti e, come per miracolo (in Valentina per dirne una) si tramutano in una piccola macchina dub: il basso rotola piano, la batteria ricama controtempi, la chitarra di Dodo strozza la sua voce in piccoli lamenti wah wah e quella di Bomma mormora liquidi accordi sotto effetto chorus.

E allora Bomma, Gianamaria, Fede, Manu e Dodo si sorridono forse un po’ di più in quei momenti. Magari anche perché riescono a guardarsi un po’ attorno e vedere che il pubblico c’è, e gli sorride di rimando.



Un video dal concerto - "Gesù ha un kalashnikov in mano":



"Ora Gesù ha un kalashnikov in mano

E punta proprio dritto su di me

Te lo assicuro, io non sono un buon cristiano

E’ giusto, mi merito le sue pallottole

Ha due o tre modi per sembrare più carino

Diretto, sensibile, più fico e protettivo

Ma stasera la sua grazia proprio non la merito

Stasera la sua grazia proprio non la merito



Ora Gesù ha un kalashnikov in mano

E punta il dito sulle mie depravazioni

Ha guardato a lungo quanto io sia poco umano

Offendendo gli altri con le mie ingiurie ed umiliazioni

Ora Gesù ha un kalashnikov in mano

Mi ama al punto che non riesco a capire

Se c’è più gusto nel spararmi e poi fuggire

O perdonarmi, indottrinarmi per spararmi e poi fuggire


Ora Gesù ha un kalashnikov in mano

E conosce tutto di me

Sa che a sei anni non socializzavo

Sarà per questo che la mia amicizia è sterile

Sa infatti che a nove anni non piacevo

Mi spiego: non piacevo e non mi piacevo

Sa che a dieci anni non piangevo

Sarà per questo che non piango più"


PS

Qui a lato potete ascoltare altre canzoni dei Carnera direttamente dal lettore Flash.
Grazie a Giamma per i testi che mi ha spedito e grazie a tutti i Carnera per la loro musica. Andate a vedere le date dei loro concerti tra Verona e provincia sulla loro pag. myspace (tra i link "LE BAND" qui a lato).

In conclusione aggiungo anche quello che forse è il mio testo preferito di Giamma, "Le piante non tradiscono":

"La felicità ha dei limiti

Fiscalmente ha troppi costi e troppo poco deducibili

E’ un sentimento che non posso proprio fingere

E’ questo amore, il tuo amore, che mi manca

E’ questo amore, il tuo amore, che mi manca

La felicità mi perseguita

La natura, sua fortuna, è troppo stupida

La tristezza è nel mio DNA

Non ho mai visto un tulipano piangere

Non ho mai visto un tulipano piangere



Voglio morire stanotte da solo

Voglio sentirmi senza un cuore e senza un lavoro

Voglio poter fotosintetizzare il mio respiro

E poter paralizzare il mio apparato digestivo

Le piante non tradiscono mai

No! Mai!



La felicità è una puttana

La felicità è una puttana

La tristezza è nel mio DNA

Non ho mai visto un tulipano piangere

Non ho mai visto un tulipano piangere


Voglio morire stanotte da solo

Voglio sentirmi senza un cuore e senza un lavoro

Voglio poter fotosintetizzare il mio respiro

E poter paralizzare il mio apparato digestivo

Le piante non tradiscono mai

No! Mai!


La felicità non conta, la felicità non conta, la felicità non conta

Non conta gli alberi che ogni anno bruciano

Non conta gli uomini che ogni anno soffrono

Non conta i bracconieri, i profughi, le mine antiuomo

Il protocollo Kyoto, i danni al buco dell’ozono

La prevenzione sanitaria, il turismo sessuale

Gli orfani, le baleniere, l’economia mondiale

I proiettili, le bombe, il giornalismo e gli immigrati

I pedofili, gli stupri, il carovita e gli ammalati

Il terrorismo, i kamikaze, i disastri nucleari

I conflitti armati, i rifugiati, i soccorsi umanitari

La malnutrizione, i mitra, i blocchi all’importazione

Le organizzazioni non governative, l’istruzione

Le donazioni, i militari, le armi e gli Stati Uniti

La crisi petrolifera, più ricchi e più puliti

La felicità è una merda"


1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro brother, per un intervento così ci vuole una risposta seria, ed è quella che cercherò di scrivere: devo ammettere che quello che hai scritto è vero, ed i Carnera da un certo punto di vista sono sorprendenti, sono un vero gruppo: se mancasse solo un componente non sarebbe più la stessa cosa, assolutamente; tutti e 5 insieme, quando suonano, sono la perfezione proprio perchè, come dicevi tu, ogni strumento costituisce un tasselo di un grande puzzle. Devo anche dire, solo come fan, che una delle cose in cui sono molto bravi è quella di far partecipare il pubblico, tutte le persone che li ascoltano, dopo il pr4imo minuto non possono non essere ridottte a "schiavi" di questa loro musica...così com è, bella.

Giulia!