lunedì 8 settembre 2008

La Notte Bianca di Villafranca


Più o meno 24 ore fa:

Tornando a casa la tangenziale mi guarda, e io guardo i cartelli -limite di 90 km- e penso: "Che cosa vuoi dire, cartello?"
E allora penso che 3 ore (o forse anche 4) così sono troppe, che la mente umana non è stata fatta per questo, che c'è un motivo se gli ascoltatori di Mozart non sono noti per finire accartocciati attorno agli alberi (e non basta dire che nei teatri non servono alcolici).
O almeno questo è quello che penso, a 85/90 km all'ora, sulla tangenziale che
mi sta traghettando a casa dopo essere stato alla NOTTE BIANCA DI VILLAFRANCA.
La NOTTE BIANCA DI VILLAFRANCA dove: i miei amici non sembrano più miei amici ma comparse di un film di Jerry Calà quarantenne. Dove: quando finiscono le pizze iniziano le crepes, e poi iniziano le birre, e poi iniziano i giocattoli per bambini, e poi iniziano gli stand come quello con l'uomo truzzo cosparso di unto che balla come in uno spot D&G al rallentatore senza smettere mai (nella mia testa).
Ma soprattutto dove non c'è mai silenzio e dove la musica stocka e comprime assieme tutti i presenti come fanno le presse con il truciolare: è così che la dance del "popolo della notte" incontra un Elvis stracciato da basi musicali buone per Raul Casadei, che incontra l'afro che mi scava nello stomaco con i suoi finti tamburi digitali, che incontra dio-solo-sa quale musica-spazzatura aborracciate e aborrante possiate immaginare -che tanto potete stare sicuri: c'era.
Per questo, alcuni minuti fa, dopo aver acceso l'auto, quando Giorgia mi ha chiesto: "Metto su London Calling?" -e io quasi di default stavo per dire sì- ho esitato; e lì ho inteso. Ho inteso che non ce l'avrei fatta; realizzando così che per la prima volta in vita mia (e dico dai tempi in cui giravo con una 126 scassata e il walkman come autoradio) non avrei ascoltato alcuna musica guidando , nemmeno i Clash -perché non avrebbe voluto dire niente. 
Disumanizzato, imbruttito, desemantizzato, sarei soltanto convogliato fino a casa, ed avrei sperato -ed aspettato- che tutto tornasse alla normalità.
Ed ora, una mezz'ora dopo, il caldo ancora che mi opprime la fronte e la nuca, lo stomaco che non capisce se sta male o ha fame, so che solo un buon sonno può salvarmi.
Ridarmi la mia musica, i miei ricordi, i miei ancoraggi semantici alle cose, alle persone, ai tempi che ho sempre amato e hanno sempre avuto un significato per me.
A meno che.
A meno che non mi salvi François, magari.
Ma lo farai, François?  -penso.
Appoggerò magari la testa sul cuscino e tu mi dirai: "Annoiarsi? Come si fa ad annoiarsi nella vita? Se non sai cosa fare c'è sempre un libro da leggere, un disco da ascoltare...O impara una lingua!"
Mi mostrerai magari quel tizio, quello con l'appartamento al primo piano che dà sul cortiletto e che ha deciso che non uscirà di casa fino a quando il collaborazionista Petain non tirerà le cuoia?
O  forse mi regalerai un'inquadratura su un paio di gambe di donne fasciate con deliziose longuette anni '70 che passeggiano per andare al rendezvous con il loro amante, ora marito?
François, se fossi ancora vivo ti vorrei solo dire che però avrei tanto voluto che avessi fatto come Kubrick e controllato tutte le traduzioni dei tuoi film, che dire "Non drammatizziamo... è solo una questione di corna" non è come dire "Domicile conjugal". Ché il primo è di gran lunga titolo troppo dozzinale per una pellicola così lieve.
Così lieve e così umana, François.
Tutto il contrario della NOTTE BIANCA DI VILLAFRANCA.


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